Lettera di Elio Pagani ai giovani del Movimento dei Focolari
16 marzo 2016
Buon giorno, cari giovani
è con piacere e con un
poco di batticuore e tanta speranza che mi rivolgo a voi, cerco di portare un contributo al
vostro dibattito a partire dalla mia esperienza personale.
Appena conclusi gli studi
iniziai a lavorare in una industria aeronautica della provincia di Varese, era
il 1974. Allora Aermacchi realizzava solo velivoli militari, anche gli
addestratori, nocciolo della produzione, avevano varianti militari e le Forze
Aeree di molti paesi li acquistavano.
Nel 1975 fui eletto
delegato tra gli impiegati della Direzione tecnica e ciò mi diede la
possibilità di crescere in consapevolezza individuale e sociale.
Nel 1976 partecipai alla
prima Assemblea nazionale dei delegati delle fabbriche d'armi, cui ne seguirono
altre realizzate anche a livello europeo, grazie la guida di due sindacalisti
straordinari Alberto Tridente e Pino Tagliazucchi. In quel contesto incontrai
anche esponenti di movimenti di liberazione, mi colpì in particolare l'incontro
con un sindacalista sudafricano in esilio, Jhon Gaetsewe, che mi raccontò di
come il rapporto commerciale che il suo Paese intratteneva con l'azienda per
cui lavoravo sosteneva l'apparato militare e repressivo dell'Apartheid.
Mi fu chiaro così l'intero
ciclo di Ideazione-Produzione-Commercio e Consumo delle armi.
Per “guadagnare il pane”
noi lavoravamo, per supportare la repressione contro colleghi lavoratori,
compagni si diceva una volta, fratelli operai e sindacalisti, che lottavano per
affermare gli stessi diritti cui anche noi ambivamo, persone di paesi in via di
sviluppo che rivendicavano il rispetto dei diritti umani, popoli in lotta per
la libertà dal passato coloniale, dalla dittatura, dal neocolonialismo. Noi
lavoravamo per produrre ed esportare morte. Assieme ai compagni di lavoro
dovevo dire basta.
Negli anni che seguirono
fui investito di responsabilità in ambito sindacale, a diversi livelli, per
contribuire a cercare una soluzione a questa contraddizione: serviva una legge
che impedisse che le produzioni belliche delle aziende italiane finissero nelle
mani di regimi che violavano i diritti umani, a paesi in guerra, a paesi le cui
risorse non potevano essere sottratte alla popolazione impoverita; occorreva
che in ogni azienda a produzione militare i Consigli di Fabbrica facessero
ricerca sulla consistenza e le caratteristiche di quei prodotti nefasti;
occorreva lanciare piattaforme rivendicative che, anche grazie ai nuovi diritti
sanciti nella cosiddetta “prima parte dei contratti”, permettessero di fare
concreti passi avanti verso la diversificazione e la riconversione al civile
delle produzioni e dell'occupazione.
Fu un lavoro complesso,
che fece registrare progressi, ma anche arretramenti. Ad episodi di lotta
esaltanti sui punti citati si alternarono episodi “vergognosi” di cedimento
alla lobby militare-industriale. Fu il periodo in cui conobbi persone
straordinarie che qui non posso ricordare, fu il tempo dell'affiancamento al
movimento “Contro i mercanti di morte”.
Così, dopo anni di lavoro
in quell'azienda, ma anche di impegno comune per cambiare quella nostra
condizione, nel 1988 decisi di fare obiezione alla produzione di armi, dapprima
denunciai, con un'intervista a Famiglia Cristiana, la violazione degli embarghi
ONU verso il Sudafrica da parte di Aermacchi, poi chiesi ed ottenni il
trasferimento alla neonata produzione civile.
Nel gennaio del 1991 fui
espulso in CIG a zero ore e dovetti cercare una alternativa occupazionale.
Fu anche quello un periodo
di intensa lotta per la riconversione al civile, fondammo il comitato “Cassaintegrati
Aermacchi per la Pace e il Diritto al Lavoro” che, tra le altre cose
ottenne una “Legge regionale per la riconversione dell'industria bellica
lombarda”, che fu però presto deattivata dalla giunta Formigoni. Scrivemmo
un libro1 che faceva l'analisi del “Nuovo Modello di Difesa”,
introdotto nel 1991 dal vertice politico militare di allora, grazie allo
scardinamento delle regole democratiche, come denunciò Raniero La Valle in un
altro libro sullo stesso argomento2.
La Proposta di legge della
Commissione Difesa della Camera “Ridefinizione del modello nazionale di
difesa” che, prendendo atto della fine del conflitto Est-Ovest e della
possibilità di ridurre al più basso livello possibile le forze militari ipotizzava
persino l'estinzione della NATO, fu brutalmente cestinata e rimpiazzata dal
documento degli Stati Maggiori, preparato in gran riservatezza a cavallo della
prima guerra del Golfo e coerente con l'impostazione strategica USA.
L'Italia e l'Occidente si
autolegittimavano per interventi militari ovunque fosse necessario a difesa
degli interessi economici “vitali” dei Paesi industrializzati. E tutto ciò con
o senza il consenso dell'ONU, eventualmente, come spesso avvenuto, anche contro
di esso.
Da allora, come sapete il
nostro Paese, in violazione dell'articolo 11 della nostra costituzione e dello
statuto delle NU, ha partecipato alle guerre in Iraq, ex Jugoslavia,
Afghanistan, Libia, guerre che sono state presentate con giustificazioni
diverse, falsificandone i veri motivi: guerra per ripristinare il diritto
internazionale, guerra umanitaria, guerra contro il terrorismo, guerra
preventiva, guerra infinita. Ed in effetti queste guerre sembrano non voler
finire mai: hanno generato devastazioni e violenze, sono state culla di
risentimento, di odio, di terrorismo, generatrici di spostamenti biblici di
milioni di profughi, che ora l'Europa respinge alle “frontiere”, guerre che
minacciano l'esercizio della democrazia. La stessa natura della NATO è
cambiata, da alleanza difensiva è diventata strumento di aggressione proiettato
ben al di là dell'area di sua pertinenza statutaria.
A questa partecipazione
diretta dei paesi industrializzati alla guerra si aggiunge quella indiretta,
sostenuta dalle esportazioni belliche; per il nostro Paese vi sono i due
recenti casi clamorosi delle esportazioni all'Arabia Saudita e ad Israele, in
violazione della L.185/90. O sostenendo guerre civili, come in Siria. E' ciò
che Papa Francesco denuncia con una chiarezza ed una frequenza inusitata: la
necessità di scardinare perversi interessi economici dei signori della guerra e
delle armi.
Nel secondo libro che
citavo, frutto di una intuizione di Padre Balducci, La Valle anticipava questo
fenomeno della “liberazione della Guerra” dalle regole e dai limiti nei
quali via via il Diritto internazionale l'aveva confinata, “per essere
eletta quale strumento sovrano del governo del mondo: totalmente disponibile
all'esercizio, totalmente pervasiva della politica”. Egli gridava alla
necessità di fermarla, indicando questo compito come “uno straordinario
riscatto spirituale, istituzionale e politico, quale nessuna generazione ha
dovuto affrontare prima di noi”.
Fino ad ora purtroppo non
ci siamo riusciti, anzi nonostante momenti alti di resistenza alla guerra e di
tentativi di costruzione della pace molti spezzoni del movimento sembrano
confusi, incapaci di leggere la cruda realtà e di trarne le dovute conseguenze,
indicando a tutti la strada da seguire: ribaltare la visione ed i concetti strategici
del Nuovo Modello di Difesa ripartendo dai concetti di Sicurezza
comune, di Difesa non armata e nonviolenta, di Disarmo anche
unilaterale, di drastica riduzione della produzione e del commercio di
armi. Certo per far questo occorre avere coraggio. Questo è il coraggio che
io vi auguro, il coraggio che io ci auguro. Un coraggio che io spero possa
essere presto illuminato da una nuova Enciclica sulla Pace di Papa Francesco.
Il vostro lavoro possa
essere profiquo
Elio Pagani, Venegono Inferiore, 13.03.2016
Note:
1) Caimi
V. - Carcano F. - Romano R. - Pagani E. - Rossi A.S. - Tamborini M., Nuovo
ordine militare internazionale. Strategie, costi, alternative, Edizioni
Gruppo Abele, Torino, aprile 1993
2)
Allegretti U. - Dinucci M. - Gallo D., con la presentazione di La Valle R., La
strategia dell'impero. Dalle direttive del Pentagono al Nuovo Modello di Difesa.
Edizioni Cultura delle Pace, San Domenico di Fiesole, 1992
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