domenica 4 dicembre 2016

Obiettore alla produzione di armi


Lettera di Elio Pagani ai giovani del Movimento dei Focolari 
16 marzo 2016


Buon giorno, cari giovani

è con piacere e con un poco di batticuore e tanta speranza che mi rivolgo a voi, cerco di portare un contributo al vostro dibattito a partire dalla mia esperienza personale.



Appena conclusi gli studi iniziai a lavorare in una industria aeronautica della provincia di Varese, era il 1974. Allora Aermacchi realizzava solo velivoli militari, anche gli addestratori, nocciolo della produzione, avevano varianti militari e le Forze Aeree di molti paesi li acquistavano.

Nel 1975 fui eletto delegato tra gli impiegati della Direzione tecnica e ciò mi diede la possibilità di crescere in consapevolezza individuale e sociale.



Nel 1976 partecipai alla prima Assemblea nazionale dei delegati delle fabbriche d'armi, cui ne seguirono altre realizzate anche a livello europeo, grazie la guida di due sindacalisti straordinari Alberto Tridente e Pino Tagliazucchi. In quel contesto incontrai anche esponenti di movimenti di liberazione, mi colpì in particolare l'incontro con un sindacalista sudafricano in esilio, Jhon Gaetsewe, che mi raccontò di come il rapporto commerciale che il suo Paese intratteneva con l'azienda per cui lavoravo sosteneva l'apparato militare e repressivo dell'Apartheid.





Mi fu chiaro così l'intero ciclo di Ideazione-Produzione-Commercio e Consumo delle armi.

Per “guadagnare il pane” noi lavoravamo, per supportare la repressione contro colleghi lavoratori, compagni si diceva una volta, fratelli operai e sindacalisti, che lottavano per affermare gli stessi diritti cui anche noi ambivamo, persone di paesi in via di sviluppo che rivendicavano il rispetto dei diritti umani, popoli in lotta per la libertà dal passato coloniale, dalla dittatura, dal neocolonialismo. Noi lavoravamo per produrre ed esportare morte. Assieme ai compagni di lavoro dovevo dire basta.



Negli anni che seguirono fui investito di responsabilità in ambito sindacale, a diversi livelli, per contribuire a cercare una soluzione a questa contraddizione: serviva una legge che impedisse che le produzioni belliche delle aziende italiane finissero nelle mani di regimi che violavano i diritti umani, a paesi in guerra, a paesi le cui risorse non potevano essere sottratte alla popolazione impoverita; occorreva che in ogni azienda a produzione militare i Consigli di Fabbrica facessero ricerca sulla consistenza e le caratteristiche di quei prodotti nefasti; occorreva lanciare piattaforme rivendicative che, anche grazie ai nuovi diritti sanciti nella cosiddetta “prima parte dei contratti”, permettessero di fare concreti passi avanti verso la diversificazione e la riconversione al civile delle produzioni e dell'occupazione.



Fu un lavoro complesso, che fece registrare progressi, ma anche arretramenti. Ad episodi di lotta esaltanti sui punti citati si alternarono episodi “vergognosi” di cedimento alla lobby militare-industriale. Fu il periodo in cui conobbi persone straordinarie che qui non posso ricordare, fu il tempo dell'affiancamento al movimento “Contro i mercanti di morte”.



Così, dopo anni di lavoro in quell'azienda, ma anche di impegno comune per cambiare quella nostra condizione, nel 1988 decisi di fare obiezione alla produzione di armi, dapprima denunciai, con un'intervista a Famiglia Cristiana, la violazione degli embarghi ONU verso il Sudafrica da parte di Aermacchi, poi chiesi ed ottenni il trasferimento alla neonata produzione civile.

Nel gennaio del 1991 fui espulso in CIG a zero ore e dovetti cercare una alternativa occupazionale.



Fu anche quello un periodo di intensa lotta per la riconversione al civile, fondammo il comitato “Cassaintegrati Aermacchi per la Pace e il Diritto al Lavoro” che, tra le altre cose ottenne una “Legge regionale per la riconversione dell'industria bellica lombarda”, che fu però presto deattivata dalla giunta Formigoni. Scrivemmo un libro1 che faceva l'analisi del “Nuovo Modello di Difesa”, introdotto nel 1991 dal vertice politico militare di allora, grazie allo scardinamento delle regole democratiche, come denunciò Raniero La Valle in un altro libro sullo stesso argomento2.



La Proposta di legge della Commissione Difesa della Camera “Ridefinizione del modello nazionale di difesa” che, prendendo atto della fine del conflitto Est-Ovest e della possibilità di ridurre al più basso livello possibile le forze militari ipotizzava persino l'estinzione della NATO, fu brutalmente cestinata e rimpiazzata dal documento degli Stati Maggiori, preparato in gran riservatezza a cavallo della prima guerra del Golfo e coerente con l'impostazione strategica USA.

L'Italia e l'Occidente si autolegittimavano per interventi militari ovunque fosse necessario a difesa degli interessi economici “vitali” dei Paesi industrializzati. E tutto ciò con o senza il consenso dell'ONU, eventualmente, come spesso avvenuto, anche contro di esso.



Da allora, come sapete il nostro Paese, in violazione dell'articolo 11 della nostra costituzione e dello statuto delle NU, ha partecipato alle guerre in Iraq, ex Jugoslavia, Afghanistan, Libia, guerre che sono state presentate con giustificazioni diverse, falsificandone i veri motivi: guerra per ripristinare il diritto internazionale, guerra umanitaria, guerra contro il terrorismo, guerra preventiva, guerra infinita. Ed in effetti queste guerre sembrano non voler finire mai: hanno generato devastazioni e violenze, sono state culla di risentimento, di odio, di terrorismo, generatrici di spostamenti biblici di milioni di profughi, che ora l'Europa respinge alle “frontiere”, guerre che minacciano l'esercizio della democrazia. La stessa natura della NATO è cambiata, da alleanza difensiva è diventata strumento di aggressione proiettato ben al di là dell'area di sua pertinenza statutaria.



A questa partecipazione diretta dei paesi industrializzati alla guerra si aggiunge quella indiretta, sostenuta dalle esportazioni belliche; per il nostro Paese vi sono i due recenti casi clamorosi delle esportazioni all'Arabia Saudita e ad Israele, in violazione della L.185/90. O sostenendo guerre civili, come in Siria. E' ciò che Papa Francesco denuncia con una chiarezza ed una frequenza inusitata: la necessità di scardinare perversi interessi economici dei signori della guerra e delle armi.



Nel secondo libro che citavo, frutto di una intuizione di Padre Balducci, La Valle anticipava questo fenomeno della “liberazione della Guerra” dalle regole e dai limiti nei quali via via il Diritto internazionale l'aveva confinata, “per essere eletta quale strumento sovrano del governo del mondo: totalmente disponibile all'esercizio, totalmente pervasiva della politica”. Egli gridava alla necessità di fermarla, indicando questo compito come “uno straordinario riscatto spirituale, istituzionale e politico, quale nessuna generazione ha dovuto affrontare prima di noi”.



Fino ad ora purtroppo non ci siamo riusciti, anzi nonostante momenti alti di resistenza alla guerra e di tentativi di costruzione della pace molti spezzoni del movimento sembrano confusi, incapaci di leggere la cruda realtà e di trarne le dovute conseguenze, indicando a tutti la strada da seguire: ribaltare la visione ed i concetti strategici del Nuovo Modello di Difesa ripartendo dai concetti di Sicurezza comune, di Difesa non armata e nonviolenta, di Disarmo anche unilaterale, di drastica riduzione della produzione e del commercio di armi. Certo per far questo occorre avere coraggio. Questo è il coraggio che io vi auguro, il coraggio che io ci auguro. Un coraggio che io spero possa essere presto illuminato da una nuova Enciclica sulla Pace di Papa Francesco.

Il vostro lavoro possa essere profiquo

Elio Pagani, Venegono Inferiore, 13.03.2016



Note:



1) Caimi V. - Carcano F. - Romano R. - Pagani E. - Rossi A.S. - Tamborini M., Nuovo ordine militare internazionale. Strategie, costi, alternative, Edizioni Gruppo Abele, Torino, aprile 1993



2) Allegretti U. - Dinucci M. - Gallo D., con la presentazione di La Valle R., La strategia dell'impero. Dalle direttive del Pentagono al Nuovo Modello di Difesa. Edizioni Cultura delle Pace, San Domenico di Fiesole, 1992


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