domenica 29 gennaio 2017

Quelle operaie della Valsella



Care amiche, Cari amici,
sono Franca Faita. 
Ho lavorato nella fabbrica di mine, la Valsella Meccanotecnica di Castenedolo, poco lontano da Brescia, dal 1967. Fino al 1980, la Meccanotecnica (la fabbrica si chiamava così allora) produceva televisori e mobili in plastica. A quell’epoca eravamo 200 dipendenti. Nel 1980, avviene la prima crisi nel settore; l’azienda ci mette in CIG – Cassa Integrazione Guadagno – per 12 mesi. 

Nel 1983, l’azienda ci comunica che il mercato dei prodotti civili non tira più e che gli operai erano troppi: 30 dipendenti devono lasciare.
La ditta ci informa che saremmo diventati un’azienda militare, incorporando la ditta Valsella con 60 dipendenti. Siamo così diventati la famigerata “Valsella Meccanotecnica”. Da allora, abbiamo iniziato a produrre le mine antipersona e gli stipendi aumentavano senza bisogno di fare scioperi o proteste. Siamo andati avanti per 10 anni con commesse grandiose. Quando le commesse finivano, nessun problema per noi: ci mettevano in CIG e l’azienda continuava a pagare i salari.

Da parte sindacale, ad ogni incontro con la proprietà, chiedevamo: “Per chi sono tutte queste mine?”. La risposta era: “Segreto militare”. 

Si calcola che la Valsella, nella sua breve storia, abbia fatto oltre 30 milioni di mine! Chiedevamo: “Ma perché servono migliaia e migliaia di mine?”. Risposta: “Per difendere il territorio dal nemico”. I tecnici della Valsella si recavano spessissimo alla SEI, Società Esplosivi Industriali di Ghedi (Brescia). Come mai? Studiavano e facevano esperimenti per “migliorare” le mine. Ma anche quello era un “segreto militare”. 


venerdì 27 gennaio 2017

Esempi concreti di riconversione

Armi (e coscienze) da riconvertire 
da Nigriza 
Lo sostiene Gianni Alioti, responsabile Ufficio internazionale Fim-Cisl. La creazione di un posto di lavoro nel militare costa quanto una decina di posti nel civile.
In Italia, pur in presenza di una grave crisi economica, un tema è totalmente assente dal dibattito politico: tagliare le spese militari per salvaguardare quelle sociali. Su questo argomento rimosso e sulla riconversione produttiva dal militare al civile abbiamo sentito Gianni Alioti, responsabile dell'Ufficio internazionale del sindacato dei metalmeccanici della Cisl.

La manovra economica e le precedenti hanno risparmiato la spesa per l'acquisto di armi, nonostante ammontino ad alcuni miliardi di euro l'anno. È possibile che le armi siano considerate un fattore di sviluppo?
Sì, ma solo in una logica di potenza. In tutti gli altri casi è solo per ignoranza o per malcelato desiderio di fare affari privati con denari pubblici. Certo, nel mondo, dietro la produzione di sistemi d'arma ci sono milioni di ricercatori, progettisti, operai. C'è sviluppo di tecnologie. Con gli stessi soldi, però, con cui si crea un posto di lavoro nell'industria militare, se ne creano 10-20 nella green economy o nei settori della micro-elettronica, dell'automazione industriale, dei mezzi di trasporto....

Insistere con la produzione di armi, visti i tagli apportati da Usa e Regno Unito e da altri paesi in crisi, non potrebbe tradursi in maggiori spese dello stato per cassa integrazione, mobilità o per commesse militari per far sopravvivere le aziende?
Con le procedure avviate di mobilità, cassa integrazione straordinaria e chiusura di attività paghiamo sia il colpevole ritardo con cui è stata percepita la crisi, sia le scelte miopi - di disinvestimento nel civile - compiute da Finmeccanica a fine anni '90. Già oggi c'è chi sostiene il programma F35 (i 131 Joint Stright Fighter, velivoli di attacco aereo che l'Italia si è impegnata ad acquistare entro il 2026, per 13 miliardi di euro), pensando che rappresenti l'unica opportunità per l'Alenia Aeronautica, senza ragionare in termini di costi-benefici.

È evidente che con i fondi risparmiati tagliando la spesa militare si potrebbe migliorare la qualità della vita degli italiani. Può fare esempi concreti di riconversione produttiva dal settore bellico al civile?
Mentre un carro armato o un caccia-bombardiere è una spesa improduttiva, un riduttore per l'eolico, un collettore per il solare termico, un film sottile per il fotovoltaico, un inverter, un robot, una metro o nuovi treni per i pendolari aumentano il livello di efficienza e produttività dell'intero sistema economico, creano più occupazione, migliorano la qualità della vita e dell'ambiente. Pochi sanno che la più importante realtà eolica in Italia - con oltre 700 occupati - controllata dalla danese Vestas, è nata da un progetto di riconversione nel civile di Aeritalia (l'attuale Alenia Aeronautica). Oppure che la Oerlikon Graziano di Bari, che produce sistemi di cambio per auto di alta gamma e per trattori, è una diversificazione nel civile dell'Oto-Melara. Un altro concreto esempio è lo sviluppo dei traghetti veloci e dei grandi yacht come parziale conversione produttiva dei siti militari di Fincantieri; così come gli usi civili degli elicotteri Agusta, sino a farne un mezzo di trasporto pubblico competitivo.

Il movimento sindacale come intende muoversi affinché si attuino concretamente politiche di pace e in particolare per realizzare il principio sancito dalla legge 185 del 1990, fino ad oggi inapplicato, sulla riconversione verso produzioni civili?
Ennio Flaiano diceva con ironia «ho poche idee, ma confuse». Mi sembra che questa frase rifletta bene, oggi, la posizione del movimento sindacale su questi temi. Si procede in ordine sparso, non c'è una comune sensibilità sui temi della pace e della nonviolenza. Alla marcia Perugia-Assisi non c'è stata adesione unitaria e sulle misure finanziarie per ridurre il debito pubblico, i sindacati non hanno chiesto di intervenire sulle spese militari (cosa su cui in passato la Cisl ha sempre insistito).
C'è da ricostruire, per prima cosa, una conoscenza delle tendenze del settore e una consapevolezza che la conversione-diversificazione nel civile è una scelta obbligata, oltre che per ragioni di natura etica, per motivi di politica industriale. Per fare ciò abbiamo bisogno di misure di sostegno alla riqualificazione professionale, di accompagnamento alla pensione, al trasferimento di persone e competenze in altri campi di attività; di sostegno alla reindustrializzazione di quei territori ad alta incidenza di industria militare, favorendo un approccio territoriale alla riconversione nel civile.

lunedì 2 gennaio 2017

Accadeva all'Aermacchi di Varese



Grazie al "Gruppo di ricerca sull'industria bellica del distretto industrial-militare varesino", autore collettivo del libro stesso, che Elio Pagani  e Marco Tamborini  possono proseguire la loro lotta nonviolenta contro gli indirizzi della produzione di Aermacchi e dell'intero settore bellico, nonché la loro iniziativa tesa a coniugare Diritto alla Pace e Diritto al Lavoro … (attraverso) … un progetto ambizioso, di cui questo libro rappresenta la prima timida creatura: mettere le basi per creare un Osservatorio permanente sull'industria militare nel "distretto industrial-militare varesino".

Attraverso questo libro prosegue, e in un certo senso riparte con più vigore, l'iniziativa antimilitarista di Elio e Marco e della realtà di movimento che essi hanno rappresentato, prima in fabbrica (l'Aermacchi di Varese) dentro il sindacato e tra i lavoratori, poi fuori della stessa (poiché espulsi brutalmente …), tra i colleghi in cassa-integrazione a zero ore e nel territorio.


Un distretto che vede fin dagli inizi del secolo produrre al suo interno molti dei sistemi militari aeronautici del nostro Paese, per una quota che oggi ammonta a circa il 50% del totale; un luogo da cui si sono tessuti rapporti commerciali, legali ed illegali, relativi a sofisticati sistemi d'arma e di cui sono estrema sintesi gli episodi emersi dagli scandali sui casi delle armi italiane in Sudafrica, Argentina, Iran e Iraq, o dalle indagini sul trafficante siriano di armi e droga Henry Arsan, arrestato in passato a Varese dal giudice Palermo, o da quelle del sostituto procuratore di Como, Romano Dolce, che in una recente inchiesta su un traffico di materiale nucleare, ispezionò le banche varesine e sentì come "persona informata sui fatti" il segretario amministrativo della DC di Varese. Una Provincia che ha sempre fornito alle Commissioni Difesa un numero rilevante dei suoi parlamentari -di diverse forze politiche-, spesso particolarmente attenti alle esigenze della produzione militare e sempre pronti a venire in soccorso delle industrie belliche locali con adeguati emendamenti alle ipotesi iniziali di spesa militare.